Le malattie monogeniche rappresentano una causa frequente di mortalità soprattutto nella popolazione pediatrica. Terapie efficaci sono raramente disponibili ed il trapianto d’organo resta l’opzione standard per le condizioni che mettono a rischio la vita del paziente.
In particolare, l’epatotrapianto può rappresentare la cura di malattie monogeniche con una prevalente espressione epatica e con presenza di danno parenchimale, come la colestasi familiare progressiva intraepatica, la sindrome di Alagille, la malattia di Wilson, l’emocromatosi ereditaria, la tirosinemia di tipo 1, il deficit di alfa1-antitripsina, l’arginosuccinico aciduria (ASL) e la glicogenosi tipo 1. In questo gruppo di disordini, quando diventa evidente un quadro di insufficienza epatica acuta o cronica, il trapianto di fegato riesce non solo a ripristinare la funzionalità epatica ma anche a correggere il difetto genetico ed a curare efficacemente la malattia. A beneficiarsi dell’epatotrapianto sono anche disordini in cui il difetto genetico coinvolge una specifica funzione epatica ma che non determinano un danno parenchimale. In questi casi le manifestazioni cliniche sono prevalentemente extraepatiche. Sono esempi di tali condizioni: alcuni difetti del ciclo dell’urea, la sindrome di Crigler-Najjar, la sindrome uremico emolitica di tipo 1, l’iperossaluria primaria tipo 1, la malattia da sciroppo d’acero (MSUD), la porfiria intermittente, la glicogenosi 1a e l’ipercolesterolemia familiare in omozigosi. In questo gruppo di malattie, il trapianto di epatociti è stato proposto come efficace alternativa all’epatotrapianto, ma resta ancora da documentare la sua sicurezza nell’uomo. Inoltre l’indicazione, il timing e la priorità dell’epatotrapianto in condizioni in cui l’organo è strutturalmente normale, eccetto che per un singolo pattern enzimatico alterato, sono ancora poco chiare.
Quando invece il difetto genetico è ubiquitario e il fegato è uno tra i tanti obiettivi del danno sistemico come nelle organicoacidurie, nella MSUD, nella propionico acidemia e nella metilmalonico acidemia, il trapianto di fegato non garantisce buoni risultati e le indicazioni sono meno chiaramente stabilite. Infatti in queste condizioni il fenotipo anomalo è mantenuto dalla produzione extraepatica di metaboliti tossici.
In questa revisione ci viene proposta un’efficace sintesi delle indicazioni e del timing per l’epatotrapianto nelle malattie monogeniche. Considerata l’incertezza del potenziale utilizzo nell’uomo della terapia genica nelle malattie monogeniche, il trapianto d’organo resta al momento la più utile e conveniente opzione terapeutica, considerato anche il costo elevato dei nuovi farmaci recentemente proposti per tali difetti. In particolare, gli autori propongono l’epatotrapianto anche come possibile terapia “ponte” in attesa dell’utilizzo della terapia genica, per alleviare le sofferenze dei pazienti con malattie monogeniche in cui la produzione delle sostanze tossiche dipende essenzialmente dal fegato.